Foto di Giovanni Chiaramonte |
I miei libri erano per me trascrizioni o glosse di quest'altro immenso Libro. Miguel de Unamuno, in un sonetto, parla del Tempo, la cui sorgente si trova nel futuro; la mia vita di lettore mi dava la stessa impressione di navigare controcorrente, vivendo ciò che avevo letto. La strada sotto casa era piena di uomini maligni avviati ai loro tenebrosi affari. Il deserto, che non era lontano dalla nostra abitazione a Tel Aviv, dove vissi fino ai sei anni, era prodigioso perché sapevo che sotto le sue sabbie, proprio al dilà della strada asfaltata, era sepolta una Città di Ottone. La gelatina era una sostanza misteriosa che non avevo mai visto, ma che conoscevo dai libri di Enid Blyton, e che non si rivelò certo l'ambrosia letteraria che supponevo quando finalmente l'assaggiai. Scrissi alla nonna lontana, lamentando piccole sofferenze e pensando che mi avrebbe procurato quella stessa splendida libertà di cui godevano i miei orfani letterari quando finalmente scoprivano i loro parenti perduti; invece di consolare le mie pene, lei mandò quella lettera ai miei genitori, che trovarono le mie lamentele poco divertenti. Credevo nella stregoneria, ed ero certo che un giorno avrei goduto dei tre desideri che innumerevoli storie mi avevano insegnato a non sprecare. Ero pronto a incontrare i fantasmi e la morte, gli animali parlanti, ad andare in battaglia; macchinavo complicati piani per recarmi in quelle isole dell'avventura dove Sinbad sarebbe diventato il mio più caro amico. Solo quando, molti anni dopo, toccai per la prima volta il corpo della mia innamorata, capii che la letteratura può essere inferiore alla realtà.
da Una Storia della Lettura