martedì 25 dicembre 2012

Albrecht Durer, Autoritratto con pelliccia (particolare)












Se non ti incontrerò in questa vita, almeno che senta la tua mancanza. Uno sguardo dei tuoi occhi e la mia vita sarà tua.

da Terrence Malick, La sottile linea rossa 

lunedì 17 dicembre 2012

Lucio Fontana "Concetto spaziale, attesa"
Foto di Ugo Mulas




















Dio,
tu hai scelto di farti attendere
tutto il tempo di un Avvento.
Io non amo attendere.
Non amo attendere nelle file.
Non amo attendere il mio turno.
Non amo attendere il treno.
Non amo attendere prima di giudicare.
Non amo attendere il momento opportuno.
Non amo attendere un giorno ancora.
Non amo attendere perché non ho tempo
e non vivo che nell'istante.

D'altronde tu lo sai bene,
tutto è fatto per evitarmi l'attesa:
gli abbonamenti ai mezzi di trasporto
e i self-service,
le rendite a credito
e i distributori automatici,
le foto a sviluppo istantaneo,
i telex e i terminali dei computer,
la televisione e i radiogiornali...
Non ho bisogno di attendere le notizie:
sono loro a precedermi. Oppure
posso chiedere all'oroscopo...

Ma tu Dio
tu hai scelto di farti attendere
il tempo di tutto un Avvento.
Perché tu hai fatto dell'attesa
lo spazio della conversione,
il faccia a faccia con cosa è nascosto,
l'usura che non si usura.
L'attesa, soltanto l'attesa,
l'attesa dell'attesa,
l'intimità con l'attesa che è in noi
perché solo l'attesa
desta l'attenzione
e solo l'attenzione
è capace di amare.

Tu ti sei già dato nell'attesa,
e per te, Dio,
attendere,
significa pregare.

Jean Debruynne, Attendere è pregare (Parigi 1988) 

mercoledì 21 novembre 2012

Rainer Maria Rilke















Ma i versi significano così poco, quando li si scrive in troppo giovine età! Bisognerebbe avere la forza di attendere: raccogliere in sé per tutta una vita - per tutta una vita lunga vita, possibilmente - i succhi più dolci; e solo allora, solo alla fine, riusciremmo forse a scrivere non più che dieci righe di poesia. Perché i versi non sono - come tutti ritengono - sentimenti. Di questi, si giunge rapidi a un precoce possesso.  I versi, sono esperienze. 

[...]

E anche ricordare, non basta. Occorre saper dimenticarli i ricordi, quando siano numerosi; possedere la grande pazienza d'attendere che ritornino. Perché i ricordi, in sé, non sono ancora poesia. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo, gesto; quando non hanno più nome e più non si distinguono dall'essere nostro - solo allora può avvenire che in un attimo rarissimo di grazia dal loro folto prorompa e si levi la prima parola di un verso.

Rainer Maria Rilke, da I quaderni di Malte Laurids Brigge

lunedì 19 novembre 2012

Cesare Pavese















Mi sai dire per chi è fatto un libro? Stai lontano dai libri che sono fatti per questo o per quello. Anche un libro che è scritto in cinese, l'hanno fatto per te. Si tratta sempre d'imparare le parole di un altro uomo. Tutti i libri che valgono sono scritti in cinese, e non c'è sempre chi te li traduce. Viene il momento che sei solo davanti alla pagina, com'era solo lo scrittore che l'ha scritta. Se hai avuto pazienza, se non hai preteso che l'autore ti trattasse come un bambino o un minorato, ecco che incontri un altro uomo e ti senti più uomo anche tu. Ma ci vuole fatica, Masino, ci vuole buona volontà. E molta pazienza.

Cesare Pavese, da Ciau Masino

venerdì 2 novembre 2012


Dino Buzzati
















Ogni vero dolore viene scritto su lastre di una sostanza misteriosa al paragone della quale il granito è burro. E non basta una eternità per cancellarlo. Fra miliardi di secoli la sofferenza e la solitudine di mia mamma, provocate da me, esisteranno ancora. E io non posso rimediare. Espiare soltanto, semmai, sperando che lei mi veda.
Ma lei non mi vede. Lei è morta e distrutta, non sopravvive, o meglio non restano più che i residui del suo corpo orrendamente umiliato deagli anni, dal male, dalla decomposizione del tempo.
Niente? Proprio niente rimane. Di mia mamma non esiste più nulla?

Dino Buzzati da I due autisti

sabato 27 ottobre 2012

Che cosa sono le nuvole?












OTELLO: Iiih! E che so' quelle?
IAGO: Quelle sono... sono le nuvole...
OTELLO: E che so' ste nuvole?
IAGO: Mah!
OTELLO: Quanto so' belle, quanto so' belle... quanto so' belle...
IAGO: Ah, straziante meravigliosa bellezza del creato!

Pier Paolo Pasolini, da Che cosa sono le nuvole?

sabato 13 ottobre 2012

Italo Calvino



















L'universo si disfa in una nube di calore, precipita senza scampo in un vortice d'entropia, ma all'interno di questo processo irreversibile possono darsi zone d'ordine, porzioni d'esistente che tendono verso una forma, punti privilegiati da cui sembra di scorgere un disegno, una prospettiva. L'opera letteraria è una di queste minime porzioni in cui l'universo si cristallizza in una forma, in cui acquista un senso, non fisso, non definitivo, non irrigidito in un'immobilità mortale, ma vivente come un organismo.

da Italo Calvino, Lezioni americane

lunedì 24 settembre 2012

Pierre aux pieds













Chi oggi salga lungo i sentieri alpini della Vanoise, troverà ancora, a due ore di marcia dal rifugio di Vallonbrun, sullo sprone di roccia che culmina verso il cielo a 2.700  metri, l'impressionante "Pierre aux Pieds", che vede salire - appaiati verso il fastigio - ottantadue piccoli piedi scavati, nella roccia compatta, sin dal neolitico: preghiera votiva verso il cielo, slancio nell'aldilà del visibile, cammino verso la luce di vita?

[...]

L'uomo, da quando abita la terra, la abita camminando in cielo.

Carlo Ossola, da Il continente interiore

giovedì 13 settembre 2012

Thomas Carlyle













Un pensiero musicale è un pensiero parlato da una mente che è penetrata nel cuore più intimo della cosa, che ne ha scoperto il più intimo mistero, la melodia che giace nascosta in essa, l'interiore armonia di coerenza che è l'anima sua, per la quale essa esiste, ed ha il diritto di esistere, qui, in questo mondo. Possiamo dire che tutte le più intime cose sono melodiose, si esprimono naturalmente in canto.

[...]

Noi dunque chiameremo la poesia pensiero musicale. Il poeta è colui che pensa in tal modo.

Thomas Carlyle, da Gli eroi

lunedì 3 settembre 2012

Giorgio Agamben













Come il sacrificio restituisce al mondo sacro ciò che l'uso servile ha degradato e reso profano, così, attraverso la trasfigurazione poetica, l'oggetto è strappato tanto alla fruizione che all'accumulazione e restituito al suo stato originale.
 
Giorgio Abamben, da Stanze

lunedì 27 agosto 2012

Dietrich Bonhoeffer



















Chi sono, io? Mi dicon spesso
che esco dalla mia cella
calmo e lieto e saldo
come il padrone del suo castello.

Chi sono, io? Mi dicon spesso
che parlo alle mie guardie
libero e amichevole e chiaro
come fossi io a comandare.

Chi sono, io? Mi dicon anche
che sopporto i giorni della sventura
impavido e sorridente e fiero
come chi è avvezzo alla vittoria.

Io, in realtà, son ciò che gli altri dicono di me?
O sono solo ciò che so io di me stesso?
Inquieto, nostalgico, malato come un uccello in gabbia
bramoso d'un respiro vivo come mi strozzassero alla gola
affamato di colori, di fiori, di voci d'uccelli
assetato di parole buone, di presenza umana

tremante di collera davanti all'arbitrio e alla più meschina umiliazione
roso per l'attesa di grandi cose
impotente e preoccupato per l'amico ad infinita distanza
stanco e vuoto per pregare, per pensare, per creare
esausto e pronto a prendere congedo da tutto?

Chi sono, io? Questo o quello?
Oggi uno, domani un altro?
Sono tutt'e due insieme? davanti agli uomini un simulatore
e davanti a me stesso uno spregevole, querulo rottame?
O ciò che in me c'è ancora rassomiglia all'esercito sconfitto
che si ritira in disordine prima della vittoria del già vinto?

Chi sono, io? - domandare solitario che m'irride.
Chiunque io sia, tu mi conosci, tuo sono io, o Dio!

Dietrich Bonhoeffer, Chi sono, io?

mercoledì 1 agosto 2012

Giovannino Guareschi nel Lager di Sandbostel (Germania), 1944

















Le parole nascono ma non muoiono. Non muore niente, a questo mondo. Le parole nascono e poi, essendo più leggere dell'aria, salgono in su e arrivano fino al punto in cui il cielo finisce e comincia l'eternità. E lì ristanno.
Come se si liberassero in una stanza cento palloncini: arrivati al soffitto si fermerebbero. Così le parole nel cielo.
Lassù ci sono tutte le parole del mondo: dal grido minaccioso di Caino, all'ultimo discorso di Farinacci, alla cantilena dello straccivendolo, al canto dell'innamorato. Verba volant. Le parole volano, non si volatilizzano.

Giovannino Guareschi, Lager di Beniaminowo, 1944

sabato 21 luglio 2012

Giovanni Lindo Ferretti




















Il chiodo è ai sedentari, dove lo pianti resta inchiodato, ultima minimale derivazione edile.
Il nodo si snoda riannoda all'occorrenza, dice l'arrivo del nomade, ne certifica partenza.
Nodo e chiodo dell'uomo è la poesia. Poesia è subire la forza dell'essere combattendo.
È un'arma la parola, un'arma il tono, il ritmo. Forma e sostanza preziosa.
Deve essere forte anche quando leggera quando si fa sinuosa.
Un rapimento, un'estasi che brucia e fa silenzio intorno.
Far fiorire il deserto, fuori, dove acqua evapora.
Farlo fiorire dentro dove l'eccesso satura.
Non tanto liberare fantasia, quanto lo sforzo di penetrare realtà rivelandola, è poesia.
Tra l'immaginario e il reale c'è il senso del limite, la finitezza d'esser uomini e donne.
L'immaginario comporta espansione illusoria, un appiattimento sulla dimensione orizzontale, ben più affascinante il reale si svela se s'accetta il limite. 
Tensione tra stato di necessità e trascendenza.

Giovanni Lindo Ferretti, da Reduce 

sabato 30 giugno 2012

Foto di Rodney Smith




















The important thing is not
to imagine one ought
have something to say,
a raison d'etre, a plot for the play.
The only true teaching
subsists in watching
things moving or just colour
without comment from the scholar.
To look on is enough
in the business of love.
Casually remark
on a deer running in a park;
mention water again
always virginal,
always original,
it washes out Original Sin.
Name for the future
the everydays of nature
and without being analytic
create a great epic.
Girls in red blouses,
steps up to houses,
sunlight round gables,
gossip's young fables,
the life of a street.

O wealthy me!
O happy state!
With an inexhaustible theme
I'll die in harness,
I'll die in harness with my scheme.

Is, Patrick Kavanagh



La cosa importante non è
immaginare che si debba
avere qualcosa da dire,
una ragion d'essere, una trama per la storia.
L'unica vera lezione
consiste nel guardare
cose che si muovono o appena prendono colore
senza commenti da parte del filologo.
Stare a guardare è abbastanza
quando è questione di amore.
Come nulla fosse mettiti a osservare
il daino che corre nel parco;
accenna all'acqua, ancora una volta
sempre verginale,
sempre originale,
che il peccato originale sciacqua via.
Per il futuro metti un nome
ad ogni quotidianità della natura
e senza essere analitico
crea una grande epica.
Ragazze con le camicette rosse,
gradini che portano a casa,
raggi di sole attorno ai tetti,
le giovani frottole e le chiacchiere,
la vita di una strada.

Che ricchezza!
Che gioia!
Con un tema inesauribile
morirò con le armi in pugno,
morirò con le armi in pugno e questo progetto.

giovedì 24 maggio 2012

Venticinquesimo
















"- Il Padre che da lontano lo vide, si alzò e gli corse incontro, ed a lungo lo abbracciò: "si faccia festa..."-

La Festa, è la festa della presenza di Dio in mezzo a noi, è la commemorazione della nostra fondazione, è il ricordo della nostra ragion d'essere e la nostra ragione di essere insieme.
Dio è in noi e
d è visibile. È per questo che ci mettiamo i nostri begli ornamenti, i nostri abiti colorati...; perché assumiamo la figura del dio.
La Festa è la presenza di Dio tra di noi ed è la presenza di noi stessi a Dio. È in qualche modo l'atto d'amore, il matrimonio del popolo con Dio. Ogni matrimonio è una festa, e ogni festa è un matrimonio; il matrimonio è una sfida alla morte: unendoci faremo sprizzare una scintilla di vita, faremo uscire da questa unione un vivente che durerà oltre la nostra morte.
Rinunceremo a noi stessi per entrare nella vita eterna. La Festa vuol dire questo.

Lanza del Vasto

venerdì 27 aprile 2012

Giovanni Raboni



















Per nessuna ragione
sapendo quello che succede,
mi vorrei risvegliare in questo mondo.
Ma già pensando (pensando
di pensarlo) so anche
che non è vero, che per quanto
ignominioso sia il presente io mai
rinuncerei, potendo scegliere,
a starci, magari di sghembo
e rattrappito d'amarezza, dentro.
Forse, mi dico allora,
non è per me che parlo, è qualcun altro,
nato da poco o nascituro,
ad agitarsi nel mio sonno, a premere
da chissà dove sul mio cuore,
a impastare parole col mio fiato...

Giovanni Raboni, Per nessuna ragione

venerdì 30 marzo 2012

Vincent Van Gogh - Notte stellata sul Rodano













Ascoltate!
Se accendono le stelle,
Vuol dire che qualcuno ne ha bisogno?
Vuol dire che qualcuno vuole che esse siano?
Vuol dire che qualcuno chiama perle questi piccoli sputi?
E tutto trafelato,
Fra le burrasche di polvere meridiana,
Si precipita verso Dio,
Teme d'essere in ritardo,
Piange,
Gli bacia la mano nodosa,
Supplica

Che ci sia assolutamente una stella,
Giura
Che non può sopportare questa tortura senza stelle!
E poi
Cammina inquieto,
Fingendosi calmo.
Dice ad un altro:
"Ora va meglio, è vero?
Non hai più paura?
Sì?!".
Ascoltate!
Se accendono
le stelle,
Vuol dire che qualcuno ne ha bisogno?
Vuol dire che è indispensabile
Che ogni sera
Al di sopra dei tetti
Risplenda almeno una stella?
 
Vladimir Majakovskij, Ascoltate!
  

domenica 26 febbraio 2012

Paul Celan


















Un manufatto – è questione di mani. E quelle mani poi appartengono soltanto a un uomo, cioè a un’unica mortale creatura, la quale con la voce e con il suo silenzio cerca di aprirsi una strada. Solo mani vere scrivono poesie vere. Io non vedo alcuna differenza di principio tra una poesia e una stretta di mano. […] Le poesie, sono altresì dei doni – doni per chi sta all’erta. Doni che implicano destino. 

Paul Celan, Lettera a Hans Bender

sabato 28 gennaio 2012

Giorgio Orelli



















Invano hai cercato di dirmi
in quale parte del bosco a me più noto
ti perdesti quel giorno d'estate;
se l'acqua sentita da poco lontano
era un fiume; sull'orlo di quale burrone
tremasti prima di scorgere un uomo
che sul tuo stesso sentiero veniva alla tua volta,
né sequestrato né sequestratore
ma nello sguardo tale
da non ispirarti fiducia, da farti anzi paura
a segno che fuggisti per altro sentiero
e fuggendo sbucasti sulla strada
dove presto ottenesti un passaggio,
l'unico chiesto in vita.
Ora non posso più chiederti di dirmi
se dove stai smarrendoti qualcuno
ti viene incontro senza spaventarti
e ti prende per mano.


Giorgio Orelli, Per zia Anna