domenica 23 settembre 2007

Amici, credo che sia
meglio per me cominciare
a tirar giù la valigia.
Anche se non so bene l’ora
d’arrivo, e neppure
conosca quali stazioni
precedano la mia,
sicuri segni mi dicono,
da quanto m’è giunto all’orecchio
di questi luoghi, ch’io
vi dovrò presto lasciare.
Vogliatemi perdonare
quel po’ di disturbo che reco.
Con voi sono stato lieto
dalla partenza, e molto
vi sono grato, credetemi,
per l’ottima compagnia.

Ancora vorrei conversare

a lungo con voi. Ma sia.
Il luogo del trasferimento
lo ignoro. Sento
però che vi dovrò ricordare
spesso, nella nuova sede,
mentre il mio occhio già vede
dal finestrino, oltre il fumo
umido del nebbione
che ci avvolge, rosso
il disco della mia stazione.
Chiedo congedo a voi
senza potervi nascondere,
lieve, una costernazione.
Era così bello parlare
insieme, seduti di fronte:
così bello confondere
i volti (fumare,
scambiandoci le sigarette),
e tutto quel raccontare
di noi (quell’inventare
facile, nel dire agli altri),
fino a poter confessare
quanto, anche messi alle strette,
mai avremmo osato un istante
(per sbaglio) confidare.

(Scusate. E’ una valigia pesante

anche se non contiene gran che:
tanto ch’io mi domando perché
l’ho recata, e quale
aiuto mi potrà dare
poi, quando l’avrò con me.
Ma pur la debbo portare,
non fosse che per seguire l’uso.
Lasciatemi, vi prego, passare. Ecco.
Ora ch’essa è
nel corridoio, mi sento
più sciolto. Vogliate scusare).

Dicevo, ch’era bello stare

insieme. Chiacchierare.
Abbiamo avuto qualche
diverbio, è naturale.
Ci siamo – ed è normale
anche questo- odiati
su più d’un punto, e frenati
soltanto per cortesia.
Ma, cos’importa. Siacome sia, torno
a dirvi, e di cuore, grazie
per l’ottima compagnia.
Congedo a lei, dottore,
e alla sua faconda dottrina.
Congedo a te ragazzina
smilza, e al tuo lieve afrore
di ricreatorio e di prato
sul volto, la cui tinta
mite è sì lieve spinta.
Congedo, o militare
(o marinaio! In terra
come in cielo ed in mare)
alla pace e alla guerra.
Ed anche a lei, sacerdote,
congedo, che m’ha chiesto s’io
(scherzava!) ho avuto in dote
di credere al vero Dio.

Congedo alla sapienza

e congedo all’amore.
Congedo anche alla religione.
Ormai sono a destinazione.

Ora che più forte sento

stridere il freno, vi lascio
davvero, amici. Addio.
Di questo, son certo: io
son giunto alla disperazione
calma, senza sgomento.

Scendo. Buon proseguimento.

Giorgio Caproni, Congedo del viaggiatore cerimonioso

sabato 22 settembre 2007

Sia grazia essere qui,
nel giusto della vita,
nell’opera del mondo. Sia così.

Mario Luzi, da Augurio

domenica 9 settembre 2007

Fùcur restò attentamente in ascolto, e man mano ripeteva lentamente, parola per parola, ciò che udiva:

«Noi, le Acque della Vita!
da se stesse generate,
fonte tanto più arricchita,
quanto più vi dissetate».

Restò ancora un momento in ascolto e poi disse:
«Continuano a ripetere: Bevi, bevi! Fa’ ciò che vuoi!»
«Come possiamo arrivarci?» domandò Atreiu.
«Ci chiedono il nostro nome», spiegò Fùcur.
«Io sono Atreiu!» esclamò Atreiu.
«Io sono Fùcur!» esclamò Fùcur.
Il ragazzo senza nome rimase muto.
Atreiu lo guardò, poi lo prese per mano e gridò:
«E lui è Bastiano Baldassarre Bucci».
«Domandano», tradusse ancora Fùcur, «perché non lo dice lui stesso.»
«Non può», rispose Atreiu, «ha dimenticato tutto.»
Fùcur restò ancora un momento in ascolto dello scrosciare dell’acqua.
«Senza ricordi, dicono, non può entrare. I serpenti non lo lascerebbero passare.»
Ho conservato tutto io per lui , esclamò Atreiu, «tutto ciò ch’egli mi ha raccontato di sé e del suo mondo. Rispondo io di lui.»
Fùcur restò in ascolto.
«Vogliono sapere con quale diritto lo fai.»
«Sono suo amico, disse Atreiu.»


Michael Ende, La Storia Infinita

venerdì 7 settembre 2007

Sero te amavi, pulchritudo tam antiqua et tam nova, sero te amavi! Et ecce intus eras et ego foris et ibi te querebam et in ista formosa, quae fecisti, deformis irruebam. Mecum eras, et tecum non eram. Ea me tenebant longe a te, quae si in te non essent, non essent. Vocasti et clamasti et rupisti surditatem meam, coruscasti, splenduisti et fugasti caecitatem meam, fragrasti, et duxi spiritum et anhelo tibi, gustavi et esurio et sitio, tetegisti me, et exarsi in pacem tuam.
S. Agostino (grazie Clara!)

giovedì 6 settembre 2007

- Dio che non esisti ti prego
che almeno su questa grande nave
che mi porta via
le cabine siano ... siano ben areate

- Ma se non esiste perchè lo preghi?

- Non esiste fintantochè io non ci credo
finchè continuo a vivere
come viviamo tutti
desiderando, desiderando
ma se io lo chiamo ...

- Troppo tardi ...

- Per la forza terribile
dell'anima mia, forse vile, trascurabile in sè,
però anima nella piena portata del termine,
se lo chiamo verrà.

Dino Buzzati, Diario di Belluno

domenica 2 settembre 2007

Amici ci aspetta una barca e dondola
nella luce ove il cielo s'inarca
e tocca il mare, volano creature pazze ad amare
il viso d'Iddio caldo di speranza
in alto in basso cercando
affetto in ogni occulta distanza
e piangono: noi siamo in terra
ma ci potremo un giorno librare
esilmente piegare sul seno divino
come rose dai muri nelle strade odorose
sul bimbo che le chiede senza voce.

Amici dalla barca si vede il mondo
e in lui una verità che precede
intrepida, un sospiro profondo
dalle foci alle sorgenti;
la Madonna dagli occhi trasparenti
scende adagio incontro ai morenti,
raccoglie il cumulo della vita, i dolori
le voglie segrete da anni sulla faccia inumidita.
Le ragazze alla finestra annerita
con lo sguardo verso i monti
non sanno finire d'aspettare l'avvenire.

Nelle stanze la voce materna
senza origine, senza profondità s'alterna
col silenzio della terra, è bella
e tutto par nato da quella.

Mario Luzi, da Alla vita