mercoledì 21 novembre 2012

Rainer Maria Rilke















Ma i versi significano così poco, quando li si scrive in troppo giovine età! Bisognerebbe avere la forza di attendere: raccogliere in sé per tutta una vita - per tutta una vita lunga vita, possibilmente - i succhi più dolci; e solo allora, solo alla fine, riusciremmo forse a scrivere non più che dieci righe di poesia. Perché i versi non sono - come tutti ritengono - sentimenti. Di questi, si giunge rapidi a un precoce possesso.  I versi, sono esperienze. 

[...]

E anche ricordare, non basta. Occorre saper dimenticarli i ricordi, quando siano numerosi; possedere la grande pazienza d'attendere che ritornino. Perché i ricordi, in sé, non sono ancora poesia. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo, gesto; quando non hanno più nome e più non si distinguono dall'essere nostro - solo allora può avvenire che in un attimo rarissimo di grazia dal loro folto prorompa e si levi la prima parola di un verso.

Rainer Maria Rilke, da I quaderni di Malte Laurids Brigge

3 commenti:

annina ha detto...

Bellissimo, Rilke regala sempre un sacco.

Grazie

marmar ha detto...

La pagina del Malte riprende quanto Rilke consiglia nelle lettere al giovane poeta Kappus e velatamente conferma il rispetto di questo vero poeta verso i sentimenti e ciò che li esprime: la parola; verso l’essenza della poesia dunque.
“Gesang ist Dasein” (“Canto è esistere”) sta scritto nel III sonetto a Orfeo; e subito si aggiunge “Un gioco a un dio / ma noi, quando esistiamo?”.
Rilke lo scopre subito appresso e ci dà risposta aprendo la seconda parte dei sonetti:

Respiro, o invisibile poesia!
Dare incessante e avere
mero etereo spazio intorno. Tu, simmetria
nel ritmico mio accadere.

Singola onda vai
al mare che espando, lento,
parco come altro mare non sarà mai:
spazio-incremento.

Oh, quanti di questi luoghi già ebbi dentro me!
Nei venti come una traccia
di figli c'è.

Ravvisi me, tu etere, folla di miei momenti?
Tu, già intatta corteccia,
foglio e rabesco ai miei accenti.

(da “I Sonetti a Orfeo”, Editografica, 1992)

Dunque: esistere è poesia e noi incessantemente la immettiamo nell’universo e la inspiriamo da esso, in un perenne rapporto con quel mare oltre la siepe, nel quale ci è dolce “naufragare”.

Cento anni fa, nel 1912, a Duino, Rilke traduceva “L’infinito”.

Grazie per questa occasione d’incontro.

marmar

Giovanni ha detto...

grazie a te marmar. il suo apice ora come ora mi sembrano le elegie, le sto leggendo in questi giorni e sono gigantesche..