Rainer Maria Rilke |
Ma i versi significano così poco, quando li si scrive in troppo giovine età! Bisognerebbe avere la forza di attendere: raccogliere in sé per tutta una vita - per tutta una vita lunga vita, possibilmente - i succhi più dolci; e solo allora, solo alla fine, riusciremmo forse a scrivere non più che dieci righe di poesia. Perché i versi non sono - come tutti ritengono - sentimenti. Di questi, si giunge rapidi a un precoce possesso. I versi, sono esperienze.
[...]
E anche ricordare, non basta. Occorre saper dimenticarli i ricordi, quando siano numerosi; possedere la grande pazienza d'attendere che ritornino. Perché i ricordi, in sé, non sono ancora poesia. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo, gesto; quando non hanno più nome e più non si distinguono dall'essere nostro - solo allora può avvenire che in un attimo rarissimo di grazia dal loro folto prorompa e si levi la prima parola di un verso.
Rainer Maria Rilke, da I quaderni di Malte Laurids Brigge
3 commenti:
Bellissimo, Rilke regala sempre un sacco.
Grazie
La pagina del Malte riprende quanto Rilke consiglia nelle lettere al giovane poeta Kappus e velatamente conferma il rispetto di questo vero poeta verso i sentimenti e ciò che li esprime: la parola; verso l’essenza della poesia dunque.
“Gesang ist Dasein” (“Canto è esistere”) sta scritto nel III sonetto a Orfeo; e subito si aggiunge “Un gioco a un dio / ma noi, quando esistiamo?”.
Rilke lo scopre subito appresso e ci dà risposta aprendo la seconda parte dei sonetti:
Respiro, o invisibile poesia!
Dare incessante e avere
mero etereo spazio intorno. Tu, simmetria
nel ritmico mio accadere.
Singola onda vai
al mare che espando, lento,
parco come altro mare non sarà mai:
spazio-incremento.
Oh, quanti di questi luoghi già ebbi dentro me!
Nei venti come una traccia
di figli c'è.
Ravvisi me, tu etere, folla di miei momenti?
Tu, già intatta corteccia,
foglio e rabesco ai miei accenti.
(da “I Sonetti a Orfeo”, Editografica, 1992)
Dunque: esistere è poesia e noi incessantemente la immettiamo nell’universo e la inspiriamo da esso, in un perenne rapporto con quel mare oltre la siepe, nel quale ci è dolce “naufragare”.
Cento anni fa, nel 1912, a Duino, Rilke traduceva “L’infinito”.
Grazie per questa occasione d’incontro.
marmar
grazie a te marmar. il suo apice ora come ora mi sembrano le elegie, le sto leggendo in questi giorni e sono gigantesche..
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